È giunto il momento di svelare alcuni segreti. Uno dei motivi per cui mi sono innamorata così follemente di Parigi sono proprio questi artisti. Tanti anni fa, quando ero qui come studentessa, la mia strada e la loro si sono incrociate più volte: amavamo gli stessi club, gli stessi tipi bizzarri e ci accomunava la medesima passione per le cartoline di Gesù tridimensionali, per le madonnine di plastica con il cuore che si illumina nel petto e per le fontanelle illuminate, nelle quali le figure sacre sprizzavano acqua dagli occhi, come se stessero costantemente piangendo. La mia collezione era già considerevole, ma il loft in cui abitavano Pierre & Gilles era una vera e propria Versailles degli oggetti devozionali kitsch. All'epoca erano entrambi fenomeni underground della scena gay parigina e non ancora i due artisti famosi quali sono loro oggi, ospiti nei più grandi musei del mondo, da New York a Tokyo. Il mio primo articolo da critica d'arte lo scrissi proprio su di loro e io c'ero quando usarono Nina Hagen, il suo fidanzato e il loro figlio per mettere in scena una riproduzione live della sacra famiglia nella loro cantina, trasformata in atelier, nella zona periferica Le Pré-Saint Gervais.
La parata degli dei della musica radunati qui va da Etienne Daho a Stromae, da Sheila a Eddy de Pretto, da Sylvie Vartan a Nina Hagen, passando per Claude François, Marilyn Manson, Boy George, Madonna, Lio e Michael Jackson. Ci sono solo due mie icone personali della musica che questi due grandi artisti non hanno mai immortalato: Prince, che io porto sulla mia pelle, nel senso letterale del termine e David Bowie, la cui musica mi ha ipnotizzata e trasportata fino a Berlino. Devo chiedere assolutamente a Pierre & Gilles il motivo di queste due omissioni.
“Pierre et Gilles – La Fabrique des Idoles”, fino al 23 Febbraio 2020 presso la filarmonica di Parigi.